27.4.11

Giro di schiaffi







A prima vista, analizzando il lavoro pittorico di S.
si colgono i movimenti disarticolati del colore:
contrasti, dilatazioni, esplosioni. Corruzioni cromatiche, 
che confermano la volontà dello stesso 
di conoscere le regole esaltandone la rottura.

Ma S. non si ferma solo al colore, all' interno dello spazio 
compie una sorta di reportage pittorico della contemporaneità, 
in cui il fruitore è invitato a cogliere attraverso metafore, 
gli aspetti catastrofici della quotidianità.

Ad un  secondo sguardo, ho provato ad analizzare le sue opere in bianco e nero, 
desaturandole: nel corso della nostra amicizia gli ripetevo sempre 
che se una cosa funziona in bianco e nero allora funzionerà anche a colori.
Ho avuto la sensazione che S. questa lezione l'abbia imparata e anche bene. 

Denis Guidone


24.4.11

Il vino finì in fretta e ordinai un'altra bottiglia












Quando mi interrogano sulla mia professione, mi sento imbarazzato: divento rosso, balbetto, io che altrimenti sono noto per essere un uomo disinvolto. Invidio la gente che può dire: faccio il muratore. 
Ai parrucchieri, ai ragionieri, agli scrittori invidio la semplicità delle loro professioni; queste professioni si spiegano da sole, non richiedono ulteriori chiarimenti. Io invece sono costretto a rispondere a queste domande: rido. Un'ammissione simile ne richiede altre, perché anche alla seconda domanda "Vive di questo Lei?" devo rispondere "sì"; il che risponde al vero. Vivo realmente del mio riso e vivo bene perché il mio riso, per esprimersi commercialmente, è richiesto. Rido bene, ho imparato a ridere, nessun altro ride come me, nessuno conosce come me le sfumature di quest'arte. Per molto tempo - per sfuggire a noiose spiegazioni - mi sono definito attore, ma le mie qualità mimiche e recitative sono così povere che questa definizione non mi è sembrata rispondere a verità e la verità è: rido. 
Non sono né un clown, né un comico, non rallegro l'umanità, ma rappresento l'allegria; rido come un imperatore romano o come un sensibile giovinetto candidato agli esami di maturità, il riso del XVII secolo mi è così familiare come quello del XIX e - se il caso lo richiedesse - rido tutti i secoli, tutte le classi sociali, tutte le età. 
L'ho semplicemente imparato, così come si impara a risuolare le scarpe. Il riso d'America riposa nel mio petto, il riso d'Africa, riso bianco, rosso, giallo - e per un onorario adeguato - lo faccio risuonare così come esige la regia. 
Sono diventato indispensabile, rido sui dischi, sui nastri magnetici e i registi dei radiogrammi mi trattano con riguardo. Rido melanconicamente, con misura, istericamente - rido come un controllore del tram o come un apprendista nel negozio di generi alimentari: come si ride la mattina, la sera, di notte e al crepuscolo, in breve: dovunque e quando ci sia da ridere, io rido. [...]

Einrich Böll - L'uomo che ride