19.12.10

Formazione


Era il periodo di raccolta dell'uva e quel giorno decisero tutti di trascorrerlo nella casa di Bardo a pochi km dal paese. La cascina era nascosta da una collina e sormontata da una roccia porosa che nascondeva al suo interno delle piccole caverne a labirinto. Tutto intorno i campi sterminati di viti e ulivi erano percorsi da ruscelli e piccole stradine battute dai cacciatori con i loro cani e da anziane donne con grandi ceste di ortaggi. La cascina era maestosa, un quadrilatero di vecchi mattoni rossi e all'interno si divideva in immensi saloni nei quali erano ricavati il soggiorno col camino e un vecchio tavolo di ciliegio, la cucina con le sue pentole e suppellettili appese alle pareti e le prime stanze del pian terreno. Una scalinata di marmo conduceva al piano superiore e il percorso era scandito da quadri di ogni corrente.
La serata trascorse allegramente davanti alle fiamme del camino, non mancarono vino e cacciagione fresca. Si rise, si cantò e suonò, si raccontarono storie vecchie e nuove fino a notte fonda.

Il sole e l'aria fresca del mattino, come un guanto morbido, svegliarono tutti gli ospiti della cascina quasi simultaneamente e dopo una buona colazione il gruppo si divise in due, chi restò in casa per provvedere al pranzo e chi si inoltrò nel fitto bosco per raccogliere i funghi, le castagne e i frutti dell'autunno. Ci volle una buona mezz'ora per raggiungere le porte del bosco, la strada sterrata che avevano percorso di lena si interrompeva non più baciata dai raggi del sole  come un presagio oscuro alla densa vegetazione che li attendeva. Bardo era un reduce di guerra, un anziano che conosceva quelle terre come le sue tasche, pieno di racconti e di sorrisi, nonché una guida eccellente, era scaltro e agile, nonostante la barba e le rughe sul volto dimostrassero il contrario e la sua andatura dava parecchio filo da torcere a molti. La concentrazione di arbusti e foglie lasciava filtrare i sottili raggi del sole che, come lame infuocate descrivevano un tragitto privo di geometria e illuminavano a intermittenza il terreno umido del sottobosco. Vi si potevano trovare funghi di forme e dimensioni variabili, nonché di colori sgargianti e animali selvatici in fuga dal rumore che il gruppo provocava. Man mano che si procedeva lo scarno fiotto d'acqua che segnava il percorso di Bardo si ingrossava, dopo alcune centinaia di metri il piccolo solco nel terreno si era trasformato in un vero e proprio fosso profondo più di un metro e largo quasi il doppio e abitato da un esile ruscello di acqua cristallina. Le pareti scavate con precisione nel terriccio lasciavano intravedere qua e là rocce di origine calcarea e piccole oasi di vegetazione, vicino alle radici dei pini che vi sbucavano. 

Dentro al cuore della fitta vegetazione, perso ormai ogni orientamento, si percepiva il peso dell'umidità sul proprio corpo, l'aria densa di microorganismi vibrava negli spazi di luce solare che le foglie lasciavano filtrare. Il fosso stabilizzatosi in quella forma, proseguiva il proprio percorso di piccole curve fra gli alberi e si inoltrava dove l'ombra era più cupa. Il gruppo seguiva il sentiero fermandosi a riempire le ceste di funghi e di legna da ardere, prestando ascolto alla voce di Bardo e ai suoi racconti passati. Superata una stretta curva in salita, si trovarono di fronte una parete verticale nata da una frana della collina, il colore caldo del terreno e l'assenza di vegetazione lasciavano supporre quanto il cedimento fosse recente. Lungo la parete alta una decina di metri si distinguevano le radici di querce larghe quanto braccia umane, si insinuavano nel terreno in caotici disegni lungo tutto l'avvallamento. Si udì quindi un lontano latrare che aumentava d'intensità, provenire dalla cima della parete ed in pochi secondi due Springer Spaniel si affacciarono sullo strapiombo abbaiando in direzione del gruppo, poi si udirono i fischi dei cacciatori dall'altra parte della strada. I cani abbaiavano incessantemente e tutti erano nel panico, finché i due cacciatori non si affacciarono al dirupo con i fucili spianati che subito alzarono al cielo con grandi sospiri e fecero tacere le bestie. L'adrenalina attraversò tutti i componenti di quell'incontro fortuito e si incanalò in Bardo, mentre inveiva nella direzione degli uomini armati, quindi si spense in un baleno.

La processione seguì il percorso invisibile che solo Bardo conosceva, era ormai da due ore che tutti camminavano senza grandi soste, quando giunsero al bunker. Si trattava di una catapecchia di modeste dimensioni, per metà sepolta nel terreno umido e completamente ricoperta da un sottile strato di muschio selvatico. A ridosso del torrente l'avvallamento formava una curva poco vicino al rudere e si inoltrava nel fitto dell'oscurità. Al suo fianco sorgevano una grossa roccia e un albero dal fusto largo, come a sancire con una perfetta geometria di mistero la presenza di quella casa fantasma nel cuore del bosco. Gli occhi di Bardo si illuminarono alla vista del residuato bellico, sollevò il cappello sulla testa e si deterse la fronte, accennò un sorriso stiracchiato e raccontò di un corridoio sepolto che conduceva dal fortino a un altro, a centinaia di metri di distanza e poi a un altro ancora, sino al mare. La prospettiva era unica, tutti gli elementi della natura si erano fermati come a proteggere quel luogo affascinante, avvolgendolo tanto d'incanto quanto di mistero. Un componente del gruppo si fece a tal punto impressionare dall'atmosfera da decidere di saltare il fosso per poter raggiungere e visitare il fortino che si trovava al di là di esso. Il fosso misurava in larghezza circa due metri ed egli individuò subito un punto scosceso, ideale per il salto. Anche se la distanza non sembrava eccessiva in molti provarono a fermarlo, ma lui era come posseduto da quel luogo, non ne voleva sapere, doveva saltare. Il terreno era viscido e scivoloso e non si distingueva cosa ci fosse al di là del letto del fiume, fra i licheni spuntava solo una roccia acuminata. Quando il giovane fece per prendere la rincorsa, il vecchio Bardo seduto in disparte masticava la sua radice di liquirizia e se la rideva sotto i folti baffi bianchi, mentre il resto degli attori, chi più chi meno gesticolava e strillava il saltatore sprovveduto.

Fu un gran bel salto, tutti poterono vedere l'aria fermarsi in torno a quella figura volante mentre attraversava il canale e tutti registrarono l'agilità dell'atterraggio dall'altra parte, una morbida flessione della gamba destra, proprio a pochi cm dalla roccia acuminata che segnava il suo traguardo e altrettanti dal vuoto che era dietro di lui. Completò il movimento portandosi la gamba sinistra in posizione verticale, parallela al busto, pronto quasi a voltarsi ed esultare. Ma il destino o forse la distrazione fecero sì che la gamba destra, prima di raggiungere la sua naturale posizione, entrò in contatto con la roccia sul bordo del fiume. Si conficcò nella carne e quando la estrasse vide il sangue uscire dal buco grande quanto una castagna poco sotto la rotula. Vide tibia e perone danzare nell'aria del bosco, mentre la sua mente andava alle lezioni di anatomia nella vecchia stanza dell'Accademia scaldata da una stufa a legna, agli scheletri d'avorio ingiallito dal tempo, usurati e tenuti insieme da lacci e ganci, agli omeri, tibie e peroni della sua formazione. Quindi svenne sull'erba. 

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